L’elefante nella stanza

Elephant in office with working businesspeople. Company employees, work at desks ignoring huge animal in room. Concept of ignore obvious problem and unpleasant issues, Cartoon vector Illustration
La spinta della globalizzazione ha rimescolato le carte, modificando gerarchie e mettendo in discussione posizioni che si pensavano acquisite stabilmente. Le tensioni che ne sono derivate attraversano le nostre società occidentali con scariche ad alto voltaggio che si ripercuotono su assetti politici e coesione sociale. Perciò è necessario interrogarci sulle correzioni da apportare alla rotta che stiamo seguendo. L’elefante è entrato nella stanza e non ha nessuna intenzione di uscirne.

L’analisi della globalizzazione secondo Branko Milanovic

Gli economisti non sono noti per le loro capacità comunicative. Branko Milanovic è un’eccezione.
Già capo dell’ufficio studi della Banca mondiale, la sua fortuna di divulgatore si deve ad un elefante. In senso figurato ovviamente. La sua analisi della globalizzazione, nel periodo compreso tra la caduta del muro di Berlino e la grande recessione del 2008, è stata volgarizzata grazie ad un grafico di grande successo. Immaginate una curva: nella prima parte, ascendente, riproduce la rapida crescita che in due decenni ha portato una buona parte della popolazione mondiale ad uscire dallo stato di povertà (il cosiddetto “effetto Cina”); a seguire, la linea discende brutalmente per indicare il progressivo impoverimento che nello stesso periodo ha colpito le classi medio-basse delle ricche società occidentali; infine, la linea torna ad impennarsi (la proboscide) per rappresentare lo straordinario incremento di ricchezza di una piccolissima minoranza di super-ricchi che compongono l’1 per cento della popolazione globale. Un elefante, appunto.

In un solo grafico Milanovic è riuscito a riassumere i venti anni che hanno visto la più sensazionale redistribuzione di ricchezza mondiale della storia. A vantaggio – nei paesi in via di sviluppo, soprattutto asiatici – di chi per troppo tempo era rimasto ai margini. E a spese di quella classe media occidentale che per un paio di generazioni si è illusa che il benessere conquistato potesse continuare a crescere senza sosta. Causando, in quest’ultima, le lacerazioni sociali e gli sbandamenti politici che sono sotto gli occhi di tutti, esacerbati da un sentimento di inarrestabile disuguaglianza.

Quindici anni dopo l’elefante cambia forma

Ora, però, è tempo di aggiornare la figura.
Tra il 2008 e l’arrivo della pandemia la situazione mondiale è mutata. I nuovi dati mostrano che la crescita del reddito a livello globale ha visto, da un lato, la conferma della tendenza dei paesi asiatici a migliorare ulteriormente, anzi accelerare, la propria posizione, passando attraverso la crisi finanziaria quasi senza subirne le conseguenze. Mentre sul lato delle economie occidentali gli effetti sono stati devastanti, sia per la classe media sia persino per gli inclusi nell’1 per cento del global top.  La gobba dell’elefante si è spostata in avanti e la proboscide si è abbassata. E questo orientamento è continuato anche dopo il 2018.

Paradossalmente – e malgrado la percezione diffusa – le dinamiche di redistribuzione globale della ricchezza hanno portato nei paesi più sviluppati a un riavvicinamento delle fasce di reddito. In uno studio recente Milanovic segnala che negli Stati Uniti il coefficiente Gini, con cui si misura il livello di disuguaglianza, è diminuito di un intero punto (su una scala da 0 a 10) per la prima volta negli ultimi cinquant’anni. Sia come effetto del massiccio intervento di risorse pubbliche per contrastare gli effetti della pandemia sia come conseguenza di un decennio di instabilità finanziaria che ha portato, secondo i dati ufficiali del governo americano, alla evaporazione di un quinto della ricchezza del vituperato 1 per cento dei più abbienti. Il punto è che questo avvicinamento è avvenuto in senso discendente. La fascia alta, quella dei più ricchi, non è più appannaggio quasi esclusivo dei paesi occidentali. Inoltre, la crescita dei redditi in Asia ha provocato un movimento globale di riposizionamento in cui la nuova classe media cinese e indiana ha preso il posto dei settori a reddito medio-basso dei paesi più ricchi.

L’esempio italiano

Per chiarire questo punto Milanovic cita proprio l’esempio dell’Italia. Due decenni di mancata crescita hanno portato le famiglie italiane di classe media collocate nelle posizioni più basse ad essere scalzate dalle famiglie di ceto urbano dei paesi asiatici, con un significativo arretramento nella graduatoria della distribuzione della ricchezza mondiale. Nulla che non sapessimo già o, meglio, che non vivessimo in concreto. Ma sentirlo spiegare dentro un quadro di cambiamenti strutturali, di lungo periodo, in cui le forze in gioco sono di ordine globale, dovrebbe farci riflettere con maggiore urgenza sul fatto che non si può continuare come sempre, con la rassegnazione del business as usual. La spinta della globalizzazione ha rimescolato le carte, modificando gerarchie e mettendo in discussione posizioni che si pensavano acquisite stabilmente. Le tensioni che ne sono derivate attraversano le nostre società occidentali con scariche ad alto voltaggio che si ripercuotono su assetti politici e coesione sociale. Perciò è necessario – ad ogni livello, in ogni occasione, a partire dai luoghi e dalle esperienze in cui viviamo – interrogarci sulle correzioni da apportare alla rotta che stiamo seguendo. L’elefante è entrato nella stanza e non ha nessuna intenzione di uscirne. Per quanto ancora possiamo fingere di non vederlo?

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