Il nuovo ciclo dei fondi strutturali si è messo in movimento. Da ora e fino alla fine del decennio le linee sono tracciate. Le amministrazioni pubbliche hanno completato la fase di programmazione e tra non molto prenderanno il via le prime iniziative. Tra queste, è da tenere d’occhio una misura prevista dal piano nazionale dedicato alle città. Il PON metro, come il gergo impone di chiamarlo, ha previsto di dedicare una quota di fondi per niente trascurabile (quasi 330 milioni di euro) per progetti di innovazione sociale. Destinatarie sono 39 città medie delle regioni meridionali, selezionate dall’autorità che gestisce il programma in base a criteri statistici di disagio sociale. A questi comuni non sarà chiesto di partecipare a bandi bensì di partecipare ad un percorso di co-progettazione. E questa è una novità.
Ma non è tutto: l’azione prevede di prendere le mosse da un’analisi non superficiale a livello di luoghi, servizi e destinatari su cui focalizzarsi e richiede che i progetti coinvolgano il Terzo settore. Nei primi due incontri organizzati dall’Agenzia della coesione, che sin qui ha avuto in carico l’impostazione del programma, è cominciato un primo lavoro di ricognizione con i comuni prescelti, che hanno cominciato a confrontarsi con lo scopo di individuare gli enti di terzo settore presenti sul territorio, i progetti già avviati, i fabbisogni sociali insoddisfatti, il contesto organizzativo e gestionale.
Obiettivo degli interventi è il miglioramento della qualità della vita in contesti degradati di alcune città medie (intendendo con medie, città che si situano in una fascia di popolazione più o meno compresa tra 20.000 e 50.000 abitanti). Il programma si propone di agire, in chiave di innovazione sociale, su cinque grandi aree tematiche: inclusione attiva e accompagnamento al lavoro, riduzione del disagio abitativo, lotta alla povertà estrema e alla marginalità, rafforzamento del ruolo della cultura e del turismo sostenibile nell’inclusione e nell’innovazione sociale, e riduzione dell’esclusione e della marginalizzazione di persone in stato di disagio economico e sociale. Tutti temi, come è evidente, in cui il contributo del Terzo settore può essere determinante per il buon esito delle politiche degli enti locali. Ed è certamente positivo che il collegamento tra pubbliche amministrazioni locali e Terzo settore sia ricercato esplicitamente e costituisca una condizione essenziale del percorso progettuale.
Naturalmente, aver scelto la via della co-progettazione comporta delle incognite. Ai tavoli di lavoro, in questa fase iniziale, non sono mancate le domande. Molte hanno riguardato il contesto organizzativo, che se già nelle grandi città non è facile, in centri più piccoli si scontra con limiti di personale e competenze che rendono il processo della co-progettazione una sfida complicata. Come emerge, del resto, dalla ricerca appena pubblicata da Euricse sul nuovo welfare collaborativo, in cui sono state analizzate diverse esperienze di co-programmazione e co-progettazione realizzate in questi ultimi anni in Italia con l’obiettivo di innovare il welfare locale. Con alcune conclusioni che non inducono ad un ottimismo, per così dire, illimitato.
I nuovi strumenti collaborativi introdotti dal Codice del Terzo settore sono un’innovazione ancora troppo recente perché possano dichiararsi senza ombre. Spesso permangono tracce consistenti delle vecchie culture organizzative e gestionali. Gli interventi ricondotti nell’ambito della nozione di amministrazione condivisa non sempre sono davvero così innovativi come promesso. E il coinvolgimento del Terzo settore deve trovare ancora le giuste forme che diano atto di come l’interlocuzione con la pubblica amministrazione debba avvenire davvero tra pari.
Tuttavia, come dimostra l’iniziativa del PON metro, c’è un’amministrazione pubblica che non vuole farsi condizionare dallo scetticismo. Si tratta di farla incontrare con esperienze di Terzo settore disposte a mettersi in gioco. Perché l’amministrazione, per essere condivisa, richiede che tutti gli attori cambino qualcosa nel loro modo di operare. Nel programma che sta per essere avviato il tema delle risorse economiche non può essere evocato come alibi: ci sono e sono ingenti. Così come c’è anche una chiara indicazione, da parte dell’autorità di gestione, del metodo da usare. Non resta che farsi avanti e non lasciarsi sfuggire quest’occasione. Dimostrando che l’innovazione sociale, per non restare un vago concetto da convegni e seminari, non può fare a meno delle gambe (e della testa) del Terzo settore.
Gianluca Salvatori