Comunità energetiche: una luce in fondo al tunnel?

L’emergenza energetica in cui siamo ci forza a pensare a breve termine, mentre un nuovo modello energetico richiederebbe una visione a lungo termine. Che ruolo possono assumere le comunità energetiche?

Si avvicina l’inverno e il tema energetico non sarà più solo titoli di giornale e discussioni tra esperti. Se finora la stretta sull’importazione di gas dalla Russia si è fatta sentire soprattutto sulle imprese, nei prossimi mesi anche le famiglie cominceranno ad avvertirne gli effetti. Non solo sulle bollette ma sulla stessa disponibilità di energia, a rischio di razionamento. Si vedrà quanto avranno prodotto gli sforzi per diversificare le fonti di approvvigionamento e mettere in sicurezza il sistema nazionale. In ogni caso, sappiamo di dover affrontare una transizione energetica che richiede tempo e investimenti.
Il percorso verso un diverso modello energetico era già avviato, per via degli obiettivi di decarbonizzazione, ma la guerra in Ucraina sta obbligando ad accelerarlo, mettendo in campo soluzioni che potrebbero anche allontanare gli obiettivi di sostenibilità ambientale su cui ormai sembrava essersi creato un ampio consenso. L’emergenza in cui siamo ci forza a pensare a breve termine, mentre un nuovo modello energetico richiede una visione a lungo termine. Nelle due prospettive i valori in gioco possono entrare in conflitto: da un lato è forte la pressione per utilizzare qualsiasi fonte pur di non far mancare l’energia che ci serve, dall’altro si è consapevoli del prezzo che la dipendenza dalle risorse fossili continua ad esigere. In questo scenario che ruolo possono giocare le comunità energetiche?

Buone pratiche: il caso tedesco

In Germania è da un paio di decenni che la produzione e l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili ha visto la nascita di centinaia di iniziative locali in cui famiglie, imprese ed enti locali si sono associati – quasi sempre dando vita a cooperative – con l’obiettivo di incrementare l’energia elettrica prodotta da fonti sostenibili in una logica di rete e produzione dal basso. L’Italia, salvo poche eccezioni, è invece partita in ritardo. Solo di recente è stato definito il quadro normativo per la partecipazione dei singoli e delle comunità alla generazione e al consumo locale di energia. All’inizio con alcuni evidenti limiti che hanno scoraggiato la diffusione delle CER (comunità energetiche rinnovabili) e più di recente con qualche correttivo che dovrebbe ampliarne la diffusione.

Comunità energetiche rinnovabili: la strada per l’intraprendenza energetica

La coincidenza tra avvio delle CER e emergenza energetica è stata salutata da alcuni come il fattore sbloccante che finalmente consentirà lo sbocciare di queste forme innovative di economia civile, permettendoci di recuperare il ritardo rispetto ad altri paesi. È un auspicio che non si può non condividere, ma senza sottovalutare alcuni aspetti problematici. Il senso di urgenza rischia di schiacciare le comunità energetiche sulla sola componente del vantaggio che ne può derivare in termini di continuità di fornitura e risparmio economico, oscurando invece la dimensione sociale tanto fondamentale nel caso tedesco. Quelle energetiche dovrebbero essere innanzitutto comunità, ovvero il risultato di una visione collettiva delle risorse necessarie allo sviluppo di un territorio. Le comunità energetiche dovrebbero essere indissolubilmente legate al concetto più ampio di “comunità intraprendenti”, proprio nel senso analizzato da uno studio di Euricse di prossima pubblicazione da cui emerge tutto il potenziale dell’interazione tra utenti, investitori, attori locali, competenze e tecnologie. Una interazione dove le modalità di produzione e consumo di energia sono uno degli elementi che possono concorrere ad una strategia per tenere insieme benefici individuali e sviluppo locale a vantaggio di tutta la collettività.

La mappa italiana delle comunità energetiche rinnovabili

La mappa delle iniziative avviate in Italia mostra diversi esempi di questo approccio: da San Vito in Monte a Inzago, da Tirano a Biccari, da Magliano Alpi a San Giovanni a Teduccio. Accanto a queste, però, sono in aumento le iniziative dei grandi gestori privati, che propongono agli attori locali progetti di realizzazione e gestione chiavi in mano, in cui il beneficio economico è immediato ma rischia di essere isolato rispetto alle altre potenzialità che una vera strategia di sviluppo locale può sprigionare. Affidarsi a grandi aziende energetiche certamente semplifica la vita degli amministratori locali e di chi cerca un rimedio rapido, ma non aiuta a costruire una visione comune tra i cittadini. Eppure, è un’occasione che non andrebbe sprecata. Perché oggi l’emergenza è energetica ma domani sarà un’altra, e poter contare su una solidarietà di territorio mette le comunità in condizioni migliori di fronte agli imprevisti. E permette loro di essere soggetti attivi nel decidere il proprio futuro. Perciò è importante incoraggiare e sostenere le CER perché prendano la strada dell’economia sociale, con forme cooperative di proprietà e governance. I vantaggi non sarebbero soltanto economici. Perché la ricerca di soluzioni per l’emergenza di oggi non può dimenticare l’obiettivo a lungo termine di una transizione verso modelli sociali più sostenibili.

Gianluca Salvatori

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